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Antonio Pìtaro, uno scienziato

alla Corte di Napoleone

 

La città di Parigi lo ricorda con un monumento eretto in una villa
cittadina. È stato docente alla Sorbona, giacobino, amico di Giuseppe
Mazzini e medico personale della famiglia di Napoleone Bonaparte

 

di Francesco Pitaro

 

Sono davvero tanti i calabresi che, sebbene abbiano dato alla loro terra lustro e vanto dinstinguendosi nelle varie branche della scienza, delle arti e del sapere in generale, restano a tutt'oggi dei semplici carneadi. Uno di questi è Antonio Pitaro, dottore in tutte le scienze, letterato e accademico, docente di medicina alle università di Salerno e di Napoli, nonché alla Sorbona di Parigi.

Di lui, invero, si sa pochissimo. Scarsa e frammentaria è la documentazione che lo riguarda direttamente. Eppure è strano come su una così illustre personalità sembra sia caduto un velo di silenzio. Forse è veramente il caso di dare adito alle supposizioni che ci ha fatto, in un amichevole e cordiale colloquio, Antonio Barbieri, notaio di Borgia, che su Antonio Pitaro ha svolto appassionate ed accurate ricerche.

Il dott. Barbieri avanza l'ipotesi che l'incartamento riguardante la presenza di Pitaro a Napoli, e soprattutto il ruolo che egli ebbe nel corso della Repubblica Partenopea del 1799, dovette essere occultato, anzi «fatto completamente sparire» grazie all'intervento nientemeno che di Luisa San Felice, prima che venisse a sua volta scoperta e condannata alla forca l'11 settembre del 1800. Si vuole, infatti, che la nobildonna napoletana teneva in somma considerazione Pitaro e che tra i due ci fosse una relazione sentimentale. Ma forse abbiamo divagato un po'. Procediamo, dunque, con ordine.

Antonio Domenico Ferdinando Pitaro nacque a Borgia (CZ) il 31 agosto 1767 da Saverio e Rosa Fehajo. Secondo l'usanza del tempo, il neaonato fu condotto lo stesso giorno al fonte battesimale dove gli fu amministrato il primo dei sacramenti dal parroco don Antonio Vaiti. Circostanza, questa, che si è potuta direttamente constatare dal foglio di battesimo. Detto documento, che si è rivelato molto prezioso per dirimere alcune controversie insorte anni fa in Francia circa le esatte generalità e la data di nascita dell'insigne borgese, ci è pervenuto intatto per puro miracolo. Difatti le bande della Santa Fede, sotto le personali direttive del cardinale Fabrizio Ruffo, nel loro itinerario che dalla Sicilia le condusse direttamente a Napoli, passando per Borgia saccheggiarono e incendiarono tutte le abitazioni dei capipopolo e dei notabili che avevano aderito alla rivoluzione giacobina. Fra queste, pare sia stata annoverata la casa del reverendo Vaiti, le cui simpatie giacobine erano ben note in paese e nei dintorni. Di tutte le scartoffìe che andarono distrutte in quella circostanza, solo poche scamparono al rogo; tra di esse anche l'atto di battesimo di Antonio Pitaro.

Questo foglio, dicevamo poc'anzi, ha assunto un'importanza notevole. In primo luogo esso è servito a chiarire l'anno di nascita dello scienziato, che non è il 1774, come in un primo momento si pensava che fosse, e stando anche a quanto emerge dalla breve nota biografica riportata su una vecchia edizione dell'enciclopedia francese Larousse, bensì come abbiamo già riferito. Il già citato certificato, al contrario, ha fugato ogni dubbio residuo. Come se non bastasse, si è riusciti a venire in possesso finanche di un manoscritto autografo del nostro che non dà margine alcuno a eventuali altre incertezze.

Antonio Pitaro compì i suoi primi passi nel campo dell'istruzione nel seminario vescovile di Squillace; ed è probabile che questa sua permanenza sia durata fin al compimento degli studi primari. Non si creda però che egli sia entrato in seminario perché avesse la vocazione. Entrare in seminario a quei tempi voleva significare avvalersi dell'unica possibilità che si offriva a un giovane di provincia per poter intraprendere gli studi. Voler frequentare una scuola regolare e iscriversi a un istituto religioso, fin a non molto tempo fa, e per un ragazzo che abitava in un paese di campagna della nostra regione, era tutt'uno.

Dalla Calabria, Pitaro si trasferì a Salerno che non aveva ancora compiuto i diciassette anni. Qui frequentò il corso universitario di medicina e ne conseguì giovanissimo il dottorato. A ventun anni era già professore di fisica all'ospedale del corpo reale di Artiglieria di Napoli, facendosi ben presto distinguere come scienziato di vaglia. Per la qual cosa gli fu conferita una cattedra alla facoltà di medicina all'università di Salemo e successivamente a quella di Napoli.

 

      

 

Intanto nella capitale del regno stavano diffondendosi le nuove idee illuministiche grazie all'opera di divulgazione e di elaborazione critica di Vico e Giannone, prima, e di Filangieri, Genovesi e Galiani, poi, e che ebbero la loro apoteosi nell'esperienza della Repubblica Partenopea.

Antonio Pitaro aderì subito alla massoneria e ai club giacobini che andavano proliferando in città e fu, altresì, entusiasta sostenitore dell'effimera rivoluzione del '99. Quando, dopo che Ferdinando IV e la sua consorte Maria Carolina d'Austria erano stati riportati sul trono dall'azione congiunta del cardinale Ruffo e dell'ammiraglio Nelson, in Napoli si diede la caccia a tutti gli intellettuali che avevano organizzato e guidato la rivolta, il Calabrese fu fatto prigioniero e rinchiuso nelle segrete del Castel dell'Ovo. Ma da qui riuscì a evadere dopo poco tempo travestito da donna e riparò a Capri, non ancora occupata da Nelson, là dove stette rintanato nella Grotta dell'Arco per diversi giorni; fin a quando non lo raggiunse uno sciabecco che lo portò esule in Francia. Durante la sua permanenza nell'isola di Capri trovò anche il modo di attendere a degli studi particolari intomo alle caratteristiche elettromagnetiche che possedeva una singolare sostanza nera che si trovava nell'antro dove egli si era rifugiato.

Il ruolo da lui avuto nello svolgimento della Repubblica partenopea fu di primissimo piano. Non tanto per aver ricoperto incarichi di prestigio, ma per essere stato l'inventore di una portentosa bomba incendiaria che riprodotta in tantissimi esemplari venne data in dotazione all'ammiraglio Caracciolo. In virtù di questo ordigno, che scagliato da lunghe distanze mandava in frantumi le navi nemiche, i patrioti repubblicani tennero lungamente testa all'incessante cannoneggiamento della flotta inglese, molto più sofisticata ed equipaggiata di quella piuttosto raffazzonata dei rivoluzionari. Non solo. Ma, come è noto, Napoli capitolò per altre vie e per molteplici cause (non ultime: il logoramento fisico; l'impossibilità a provvedere al ricambio di uomini; la scarsezza di viveri, medicinali, munizioni; la fame) ma senza che il porto di Napoli fosse stato ancora espugnato. E ciò anche in forza della possente arma che Pitaro aveva progettato, costruito e messa a disposizione per la difesa della città.

A Parigi la sua fama lo aveva preceduto. Diverse accademie e società scientifiche chiesero in visione molte delle sue opere. È dello stesso anno in cui mise piede in Francia ( 1799 ) il suo primo rapporto all’Acadèmie des sciences: Osservazioni e ricerche fatte alla Grotta dell'Arco, situata nella parte meridionale dell'isola di Capri, sul fenomeno di una materia nera esistente all'interno di quella grotta. Nell'introduzione al manoscritto l'autore osservava che «l'opuscolo è diretto a comparar gli esseri propriamente detti fluidi invisibili; a disegnar lo stato incoercibile loro con altro titolo; a ragionar la loro causa ed a considerar l'elettricità sotto quattro aspetti differenti».

Tra le tante opere, che abbracciano argomenti fra i più disparati, meritano particolare menzione: Contemplazione di materia medica (1798); La sciènce de la sétifère ou l'art deproduire la soie (Paris, 1813); La tarantola di Pornile e le malattie causate dalla sua puntura (Parigi, 1813); Analisi della napoleonide ( Parigi, 1813 ); Lettere filosofiche (1813); Poesie elegiache (1832).

Nel 1816 Antonio Pitaro si fece naturalizzare cittadino francese, dopo aver frequentato assiduamente la famiglia di Napoleone Bonaparte, per essere stato il medico personale della madre di quest'ultimo, Maria Letizia Ramolino. E non è da escludere che l'ex combattente giacobino abbia conosciuto lo stesso imperatore dei francesi. In seguito prestò servizio come archiatra a corte, facendosi ammirare dalla nobiltà e dalla intellighenzia parigine. Infine gli fu conferita una cattedra alla facoltà di scienze della prestigiosa università Sorbona. Nella capitale francese egli ebbe modo di conoscere, nel 1831, un altro proscritto come lui, l'ancor giovane Giuseppe Mazzini, nel momento in cui questi stava dirigendosi alla volta di Lione per prendere parte, insieme ad altri fuoriusciti, al fallito tentativo insurrezionale in Savoia.

Antonio Pitaro, dopo aver abitato in un primo momento in Rue Montblanc, 24, di Parigi, si trasferì in Rue Henite Ville n° 2, dove si spense il 28 luglio 1832, nel mentre che la sua celebrità aveva valicato i confini d'Europa. Non molto tempo dopo, Parigi gli eresse un monumento in una villa cittadina, per eternarne la memoria ed esaltarne l'opera e l’ingegno.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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