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Riflessioni
a margine di un programma TV Italiani, vil razza smemorata di Vincenzo Pitaro Il Quotidiano Sic transit gloria mundi. Così passa la gloria del mondo. Lo
dice anche il proverbio latino. Ma in nessun luogo passa così presto come in
Italia. Qui da noi la popolarità, spesso, è una sorta di cometa che non
lascia neppure la traccia del suo passaggio. Lo dicono le inchieste. Attori,
cantanti, giocatori di calcio, scienziati, artisti del pennello, poeti e
romanzieri, gente che una volta era stata nel cuore del pubblico, blandita e
perfino osannata, ora si trova in una specie di limbo, ad accumulare ricordi,
a meditare sulla vanità delle vicende umane, e più ancora sulla ingratitudine
del pubblico italiano. Non vogliamo additare come esempio di fedeltà
l'Inghilterra,dove gli ambasciatori di nuova nomina vanno a visitare la regina
in carrozza, come si usava nel Settecento. Si guardi soltanto alla confinante Francia. Fino alla
tarda vecchiaia, Chevalier raccoglieva folle di fan, e gli
veniva offerto di lavorare sulla scena, di fare dei film. Nessuno, comunque,
si sognava di trattarlo come un sopravvissuto alla sua età, nessuno sospirava
di fastidio se appariva alla tv. Anzi, ogni sua presenza artistica veniva
accolta con rispetto, con tenerezza, con gratitudine. La sua voce era magari
arrugginita, ossidata, rauca, quasi spenta del tutto, ma i francesi non
dimenticavano quando cantava la bellezza del mare, e per questo gli erano
grati. Oggi, per fortuna, nel Centro di produzione Rai di Milano, c'è Paolo
Limiti che, con il suo programma Ci vediamo in TV, riesce a
raccogliere le glorie di ieri sotto le luci della ribalta, tra applausi,
baci, manifestazioni di affetto, ecc. La formula - spiega il buon
Paolo - è molto semplice: di volta in volta mostriamo ai telespettatori
spezzoni rari o filmati inediti, relativi a esibizioni, sketch, o
partecipazioni televisive del personaggio a cui sono dedicate le puntate
durante la settimana. La trasmissione è nata nel '96 proprio con l'intento di
riproporre un revival di personaggi noti e carrellate su programmi, che vanno
dalla "preistoria" della radio - i mitici tempi dell'Eiar, per
intenderci - fino ai primi passi della televisione negli anni '50, e ai
giorni nostri. Una sorta di tv-nostalgia, dunque, ma che non vuole essere
ne strappalacrime né celebrativa. Una trasmissione sempre ricca di ospiti e di presenze fisse
(come quelle di Nilla Pizzi, Anna Identici, Giovanna, Wilma De Angelis)
che, in più occasioni, ha dedicato «profili» a intramontabili artisti: da
Modugno a Claudio Villa, da Milva alla Lollobrigida, e via
dicendo. Tuttavia, questo programma (in onda su Raidue, dal lunedì al
venerdì, nella fascia pomeridiana) ottiene di puntata in puntata una audience
al si sotto de / fatti vostri, la noiosa trasmissione a premi di
Michele Guardì. Gli italiani, vil razza smemorata, non solo amano giocare
ma preferiscono buttarsi sul nuovo, travolgendo nello stesso tempo quello che
sta sotto, quello che sta dietro: cioè la tradizione, e tutte le circostanze
che hanno reso possibile quel nuovo. Ma così facendo non si accorgono che
creano sul nulla, che puntano su un futuro che ha la consistenza dell'aria.
Per fare altro esempio, prendiamo a caso un nome: Loretta Goggi. È
stata grande artista (cantante, presentatrice, imitatrice ecc.) ma adesso è
ignorata persino dai dirigenti Rai, non solo dai telespettatori. Al suo posto
sono arrivati i giovani (Fabrizio Frizzi, Carlo Conti, Barbara D'Urso,
Melba Ruffo), ma vedrete che appena mostreranno un tentennamento, appena
si ritireranno in campagna per un riposino di tre mesi, il pubblico
dimenticherà, esigendo altri idoli televisivi che poi manderà speditamente in
soffitta. Non sapere conservare equivale a non sapere apprezzare non solo
il nuovo, ma neanche l'antico. Proiettato tutto sul presente, sul carpe
diem, l'italiano non riesce mai a possedere un vero spessore storico,
come dimostrano i fatti sociali. Vivere alla giornata è una forza che gli
stranieri ci invidiano, ma è anche quella filosofia della quale sorgono tutte
le nostra magagne e disfunzioni socio-culturali. La poca solidità e omogeneità della cultura dipende da questa
frenesia del presente. Chi legge più Carlo Emilio Gadda? Anzi, chi lo
ricorda più? Riccardo Bacchelli ha dovuto prolungare la sua vita e la sua sofferenza per
essere ancora riconosciuto come un grande scrittore. È stato il suo
paradossale presenzialismo a salvarlo dal rapido oblio. Ma già incalzano
quelli che i mass-media chiamano / nuovi scrittori, che sono
formalmente confusionari e arretrati, cioè vecchi. Ma hanno il merito di
essere presenti sul mercato dell'effimero, e tanto basta. |
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