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Incontro
con il noto Avvocato calabrese Nino
Marazzita, il re dei penalisti di
Vincenzo Pitaro pagina Cultura, del 22 agosto 2001 Da
un quarto di secolo, sia in Italia che all'estero, è uno dei maggiori
protagonisti delle aule giudiziarie. L'avvocato penalista Nino Marazzita, 62
anni, calabrese (nato a Palmi, in provincia di Reggio Calabria), insomma, è
quel che si dice un «principe del Foro» o, come qualcuno simpaticamente lo
chiama «il re dei penalisti», il delitto Pasolini, l'uccisione di Aldo Moro,
lo «scandalo Sisde», il ruolo di Francesco Pazienza nella tangentopoli
milanese, sono solo alcuni dei suoi processi più celebri che oggi la storia
ricorda. Una fama di penalista pluricollaudata che ha contribuito, nel tempo,
a collocarlo ai vertici della «top-ten» del diritto internazionale. Da
giovane, tuttavia, Nino Marazzita non pensava affatto di dover intraprendere,
un giorno, la carriera di avvocato, pur sapendo che i suoi tenevano molto
affinchè seguisse la tradizione di famiglia. Difatti, finito il liceo, fu
solo per accontentare il padre (senatore socialista, peraltro titolare di un
avviato studio legale in Palmi), che decise di iscriversi a Roma, alla
facoltà di giurisprudenza. «Il vero motivo di quel trasferimento nella
Capitale», racconta l'avv. Marazzita, «in realtà fu l'iscrizione al Centro
Sperimentale di Cinematografìa, perché all'epoca il mio più vivo desiderio
era quello di fare il regista. Lo ricordo come se fosse adesso: nel mio
corso, c'erano molti giovani, tra i quali Bernardo Bertolucci e Marco Bellocchio,
che in seguito si sarebbero affermati come grandi firme del cinema italiano». Cosicché,
dopo aver frequentato per un anno quel Centro l'eredità paterna prevalse, e
in seguito al «fortunato incontro» col noto penalista Giuseppe Sotgiu (che
segnò per sempre la sua vita) capì quale sarebbe stata la strada da seguire.
Fu così che abbandonò le ambizioni artistiche (giovanili) e cominciò a
frequentare il tribunale. Nel 1975, poi - quando alcuni intellettuali romani
lo interpellarono per rappresentare, in giudizio, la famiglia dello scrittore
assassinato Pier Paolo Pasolini - cominciò la sua scalata verso il successo.
«Fino ad allora» - dice - «ero soltanto un giovane avvocato pressoché
sconosciuto». - Da quel giorno, dunque, sono arrivati gli altri grandi processi
che le hanno procurato un'ottima fama... «Sì,
immediatamente dopo la vicenda di Pier Paolo Pasolini difesi un giovane,
pressoché un bambino, Marco Caruso, che per difendere la madre dalle angherie
e dalle violenze del padre lo aveva ucciso con un colpo di pistola. Quella
vicenda raggiunse un tale livello di popolarità, al punto che persino
l'allora presidente della Repubblica Sandro Pertini se ne interessò. Fu un
processo in cui l'opinione pubblica non si divise, come accade spesso, tra
innocentisti e colpevolisti ma si schierò tutta dalla parte del giovane
parricida, che poi venne assolto per aver commesso il fatto in stato di
legittima difesa della madre». - E del caso Moro, altro
suo processo storico, cosa può dirci? Ce ne può brevemente parlare? -
«Beh, del caso Moro dovremmo parlarne almeno per una settimana... Posso solo
sintetizzarlo così: l'uccisione dello statista Aldo Moro rappresenta ancora
uno dei grandi misteri italiani. Hanno pagato gli esecutori materiali e non
tutti; i veri mandanti sono rimasti impuniti... e lo resteranno se nel nostro
Paese non si capirà finalmente che per andare avanti bisogna scrivere
correttamente la storia di questi ultimi trent'anni». - Ce ne rendiamo conto, avvocato,
il discorso andrebbe certamente per le lunghe. Passiamo ad altro, allora. Lei
vive da tempo a Roma. Che rapporto ha, oggi, con la Calabria e con la sua
Palmi?, città che ha dato i natali a tanti altri personaggi illustri della
letteratura, del giornalismo, della musica, ecc. «Il
mio rapporto con la Calabria è uh rapporto d'amore viscerale, senza limiti,
irrazionale. Non tollero che la si critichi, che si parli male dei
calabresi...». - Ma quanto ha inciso l'essere calabrese nel suo successo?
- Perché? «Perché
il calabrese non teme l'insuccesso. Ci riprova fino allo spasimo a vincere e
non si dà pace finché non ottiene quello che vuole... perché vuole quello che
è giusto, perché crede in quello che è giusto». -
Lei cura anche gli interessi di molti personaggi dello spettacolo, da
Isabella Rossellini a Roberto Benigni, da Anna Kanakis a Pamela Prati, tanto
per citarne alcuni. Apriamo (simpaticamente) una parentesi, avvocato
Marazzita. Negli ultimi tempi, la sua notorietà ha varcato la soglia dei
palazzi di giustizia, assumendo una sfumatura "rosa". Qualcuno ha
scritto che, dietro l'aspetto severo di uomo di legge, lei nasconde anche una
personalità di "latin lover". Tolta la toga,
da buon calabrese, che fa? Ama
indossare gli abiti del don Giovanni...? «Ah,
la mia vita cosiddetta "rosa"! Non sono un don Giovanni o un
"latin lover". Certo, amo le belle donne; le quali capiscono subito
quando sono amate e desiderate e questo... facilita un po' le cose». -
Ma che cosa hanno detto i colleghi in merito alla sua affettuosa amicizia con
la show-girl Carmen Di Pietro, oggi vedova di Sandro Paternostro? «Già,
la mia relazione con Carmen Di Pietro, credevo che voi giornalisti ve ne
foste dimenticati. Sicuramente, alcuni avvocati e magistrati, mi hanno
criticato; ma per invidia s'intende!». - Lungi dal voler essere
indiscreti, avvocato. Lei, attualmente, è un single. Qualcuno dice che sa
districarsi molto bene anche tra i fornelli. È cosi? Può suggerire ai nostri
lettori qualche ricetta calabrese? «So
cucinare alla perfezione la "parmigiana alla calabrese". Per
imparare a farla, mi è costata tonnellate di melanzane che hanno fatto da
cavie. Per cui, sinceramente, non me la sento di svelarne i segreti». - Il successo, nell'attività forense,
le ha già regalato tante belle soddisfazioni. Ma è vero che il suo
"sogno nel cassetto", ancora oggi è quello di poter dirigere una
pellicola come regista? «Devo
ammetterlo: fare un film come regista è il mio grande e forze irrealizzabile
sogno...». - Non si può mai dire. Ma che
tipo di film, comunque, le piacerebbe realizzare? «Che
film vorrei realizzare? Un film che parla d'amore senza luoghi comuni,
lepidezze e approssimazioni. Insomma, un film tra "Ultimo tango a
Parigi" di Bertolucci e "Luna di fiele" di Roman Polanski». - Lo dice con l'entusiasmo di un
ventenne. Avvocato, qual è il suo Segreto? Ce lo può svelare? Come fa a
mantenersi cosi giovane dentro? «Certo
che lo dico con l'entusiasmo di un ventenne! Perché sono un ventenne! Il segreto?
Anche e soprattutto questa è una ricetta che non si può svelare». - Non ha mai pensato di fare
qualcosa sulla Calabria? Di descrivere la Palmi che conserva nei ricordi
della fanciullezza, ad esempio? «Tante
volte ho pensato di scrivere sulla Calabria e lo farò perché è il mio sogno
di quando sarò... grande». - Bene, per concludere. Avvocato
Marazzita, da buon calabrese, cosa si sentirebbe di dire, oggi, ai nostri
corregionali rimasti in loco, ma soprattutto a quelli che sono sparsi in
Italia e nel mondo? «Una
cosa vorrei dire, in modo particolare, ai calabresi sparsi in Italia e nel
mondo: perché non ritorniamo tutti in Calabria per contribuire a renderla più
forte?». - Sarebbe davvero una grande
cosa, avvocato, se molti "cervelli" tornassero in questa Terra
bellissima. Un suo illustre concittadino, Leonida Rèpaci, scrisse che «Quando
fu il giorno della Calabria, Dio si ritrovò in pungo 15 mila kmq di argilla
verde con riflessi viola. Si mise all'opera, e la Calabria uscì dalle sue
mani più bella della Califomia e delle Hawaii, più bella della Costa Azzurra
e degli arcipelaghi giapponesi». «Leonida
Rèpaci, al quale sono stato legato da grande affetto e parentela, nelle
pagine di "Calabria grande e amara", descrive la nostra regione con
tutta la sua irresistibile magia. Bisognerebbe mandare queste righe a tutti i
politici calabresi per ricordare loro che hanno in mano un gioiello, che ha
il solo problema di essere incastonato nel migliore e piùgiusto dei modi». © Copyright 2005-2021 Vincenzo Pitaro quotidiano paginatrè, 22 agosto 2001 |
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